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Le malattie dell'occhio vengono di solito classificate con riferimento alle diverse parti anatomiche che compongono l'organo della vista. Tra le più comuni vi sono l’orzaiolo, il calazio, le congiuntiviti. Vi sono poi i vizi di rifrazione (la miopia, l’astigmatismo, l’ipermetropia e presbiopia), le alterazioni della mobilità del bulbo (lo strabismo concomitante e paralitico), il distacco della retina e il glaucoma.
Dal punto di vista ecobiopsicologico è possibile ritrovare all’interno delle patologie gravi dell’occhio o al ripetersi di infiammazioni come l’orzaiolo, il calazio e le congiuntiviti un significato simbolico e psicologico specifico, ma sempre contestualizzato all’interno della storia di vita dell’individuo che ne soffre.
Per comprendere il simbolismo delle patologie dell’occhio è importante partire dall’analizzare che significato riveste l’occhio nella vita della persona, ricercandolo nell’anamnesi di quest’ultima e nei suoi vissuti personali, e qual è il valore simbolico attribuito all’occhio nella storia del genere umano, ricercandolo nei miti, nelle credenze popolari e nelle religioni. In questo articolo ci occuperemo di trattare quest’ultimo aspetto perché il primo non può prescindere dalla conoscenza diretta della persona interessata.
Innanzitutto possiamo affermare che l’occhio rappresenta l’aspetto più evoluto della sensorialità: dei cinque sensi è l’organo più complesso e raffinato ed è l’unico ad essere in stretta relazione con il cervello: la retina è un’estroflessione del nostro cervello e il nervo ottico fa parte del sistema nervoso centrale. Da un punto di vista ecobiopsicologico gli occhi rappresentano l’unica parte del nostro corpo attraverso la quale è possibile, esaminando il fondo dell’occhio, vedere la circolazione sanguigna del cervello. Inoltre, la vista condensa in sé il primato della vita mentale che avviene prevalentemente attraverso la funzione visiva.
L’occhio, che ci permette di accedere al cervello, è l’analogo, sul piano simbolico, della possibilità di vedere la coscienza, quindi guardando gli occhi di una persona è possibile vedere gli stati di coscienza, se non “l’anima” della persona. Il proverbio:”gli occhi sono lo specchio dell’anima” deriva dal fatto che dagli occhi si possono cogliere gli stati affettivi. I primitivi credono che mangiando l’occhio ci si impadronisca delle sue virtù. Un altro modo di dire popolare è “apri gli occhi!” per suggerire di portare a coscienza un contenuto che la persona non riesce o non vuole comprendere. In questo caso, spesso, si fa riferimento all’occhio interiore attraverso il quale l’uomo può accedere al mondo intelligibile, sovrasensibile. Perché quest’occhio interiore possa accedere a questa realtà sovrasensibile e contemplare il mondo interno è necessario che gli occhi esterni “si chiudano”, in modo che lo sguardo possa volgersi all’interno, come accade nella cecità (nella cecità si sviluppa, per compensazione, una sensibilità particolare), nella medianicità, nel sonno e nei sogni e nella meditazione.
L’occhio, in quanto organo principale della percezione sensibile, sta in stretta relazione simbolica con la luce, il sole, lo spirito. Nell'arte cristiana un occhio raggiante significa Dio; un occhio nella mano di Dio, la divina sapienza creatrica; un occhio in un triangolo, Dio Padre della Trinità.
Tuttavia, l’occhio umano ha dei limiti: la distanza alle quale può distinguere le immagini non è infinita, non può guardare fisso il sole altrimenti si rischia l’accecamento, non può vedere attraverso i corpi opachi. Quando guardo, inoltre, trascuro le parti periferiche. Nell’occhio c’è un punto cieco, il punto in cui il nervo ottico entra nella retina. Anche nella coscienza, l’analogo simbolico dell’occhio, abbiamo zone cieche (le prospettive che non sono prese in esame). La coscienza non può accogliere e decodificare tutte le informazioni della realtà, ma ha una capacità limitata. La coscienza non può cogliere l’intelligibile, anche se può entrarci in rapporto, a patto che sia disposta a lasciare spazio all’”occhio interiore”, o, in termini psicoanalitici, ad entrare in relazione con i contenuti inconsci, ma, comunque, non può conoscere tutto, non può entrare in relazione con il “divino” perché rischia l’accecamento simbolico.
Sulla base di quanto precedentemente trattato si può affermare, verosimilmente, che le patologie dell’occhio possano segnalare una difficoltà, nel soggetto che ne è affetto, nel portare a coscienza dei contenuti inconsci dolorosi che portano ad un’infiammazione dell’organo che presiede alla vista sul piano somatico, come accade, per esempio, nel caso di ricorrenti calazi e orzaioli, oppure una ipertrofizzazione della funzione cosciente razionale che impedisce la visione del proprio occhio interiore rendendo “ciechi” rispetto al proprio mondo interno, come accade, per esempio, nel glaucoma.
I vizi di rifrazione, poi, possono rappresentare la modalità specifica e strutturata del soggetto di entrare in relazione con il mondo esterno nel senso di una tendenza ad escludere dalla coscienza il proprio mondo interno (è il caso dell’ipermetropia) piuttosto che quello esterno (è il caso della miopia).
Un altro tema importante che si può ritrovare espressa nelle patologie dell’occhio è il tentativo di ricerca del proprio Sé, della propria autenticità, della propria anima. In questo caso l’occhio che si ammala è l’occhio che nella ricerca spirituale del proprio Sé, rimane accecato dalla sua luce, a significare che la curiosità e la ricerca della Verità, del divino non è priva di rischi e spinta troppo oltre comporta dei rischi.
La psicoterapia di persone affette da una patologia dell’occhio deve avere come obbiettivo quello di aiutare il soggetto ad entrare a contatto con i contenuti dolorosi che sistematicamente allontana dalla coscienza in un contesto protetto che gli permetta, nel tempo, di far in modo che si instauri un equilibrio e una comunicazione tra la coscienza e il proprio mondo interno, liberando, gradualmente, l’occhio dal sovrainvestimento libidico e simbolico e aiutando la persona ad intraprendere o portare avanti un percorso di individuazione e di ricerca del proprio Sé, della propria autenticità.
dott.ssa Annalisa Bossoni - Psicologa Psicoterapeuta cell. 340.1586323 annalisa_bossoni@libero.it P.IVA 03598160988 C.F. BSSNLS87T51D284F Iscrizione all'albo degli Psicologi della Lombardia n. 03/16634